Da sinistra: Simone di Giacomo d'Alemagna,
Braccio reliquiario di san Maurelio (1455-1456); Cabrino Notari da Cremona,
Reliquiario a Croce (1432-1437); Bartolomeo a Relogio,
Braccio reliquiario di san Giorgio (1388).
Il piccolo ambiente, antica sacrestia della chiesa, raccoglie preziosi reliquiari e paramenti sacri che documentano la storia liturgica della Cattedrale di Ferrara.
Accolgono i visitatori i due
Busti reliquiari di san Giorgio e san Maurelio, in argento sbalzato e cesellato: il primo fu realizzato agli inizi del Seicento per custodire le ossa del cranio del Santo patrono, donate nel 1600 da Clemente VIII al vescovo Giovanni Fontana. Il basamento è però successivo di un secolo ed è opera del bolognese
Zanobio Troni, autore anche del
Busto di san Maurelio, realizzato nel 1725 per volontà del cardinale Tommaso Ruffo.
Si possono poi ammirare due interessanti cappucci di piviale di manifattura ferrarese della seconda metà del XVI secolo. Quello raffigurante
Santa Margherita d’Antiochia fu donato dall’arciduchessa Margherita d’Austria alla Cattedrale in occasione del suo matrimonio con Filippo III di Spagna, celebrato il 15 novembre del 1598.
Nella vetrina al centro della sala sono custodite tre capolavori dell'oreficeria estense, il cui grande significato storico-artistico è pari a quello religioso e liturgico. A sinistra si trova il
Reliquiario del braccio di san Maurelio, realizzato nel 1455 in argento sbalzato e cesellato da
Simone d’Alemagna in occasione della traslazione della reliquia dalla chiesa di San Giorgio fuori le mura alla Cattedrale. Al centro è esposta la
Croce reliquiario, in argento, quarzo e cristallo di rocca, di
Cabrino Notai da Cremona. Il manufatto, che s’impone per le notevoli dimensioni che lo qualificano come impresa di grande impegno economico, artistico e religioso, fu commissionato dal beato Giovanni Tavelli da Tossignano, neovescovo di Ferrara nel 1432. A sinistra, infine, il
Reliquiario del braccio di san Giorgio, opera di
Bartolomeo a Relogio, realizzato nel 1388 per accogliere la reliquia portata dalla Terra Santa dal conte Roberto di Fiandra. Tutte e tre le opere hanno subito importanti integrazioni nel corso del Sei-Settecento.
Anonimo maestro veneto-bizantino,
Testa della Vergine (XII secolo).
Domina la sala il grande
Paliotto dell’altare maggiore della Cattedrale, donato al Capitolo dal cardinale Luigi Giordani nel 1893; ricamato a filo d’oro zecchino è frutto del lavoro dell’operosa bottega romana di
Angelo Tafani e figli.
Concludono il percorso espositivo la
Testa della Vergine e la
Sacra Famiglia. La prima, di ambito veneto-bizantino, è un frammento di mosaico, unica testimonianza sopravvissuta della primitiva decorazione dell’arco presbiteriale del Duomo (1134 ca.), distrutta dai restauri settecenteschi. La seconda è invece opera di
Giuseppe Cesari detto
Cavalier d’Arpino, noto per essere stato il prima maestro romano di Caravaggio; dipinta nel 1627 ca., la tela venne lasciata in eredità al Capitolo Metropolitano dal cardinale Girolamo Crispi nel Settecento.